[NEWS E STAMPA]
29.11.2025
Beppe Severgnini: il confronto tra la narrazione industriale in Italia e negli USA
Grazie alle parole di un giornalista di fama mondiale, scopriremo come la narrazione industriale sia trattata in maniera differente in Italia e in America.
Ai nostri microfoni Beppe Severgnini, editorialista del Corriera della Sera dal ‘95, corrispondente italiano per The Economist dal ‘96 al 2003, opinion writer per il New York Times: non solo un giornalista, anche saggista da centinaia di migliaia di copie. Insieme a questo ospite di caratura mondiale, che per la prima volta partecipa al Festival della Narrazione Industriale, approfondiremo la differenza tra la narrazione industriale in Italia e in America. Grazie ai suoi innumerevoli viaggi negli U.S.A e alle collaborazioni col New York Times, chi meglio di lui può comparare il rapporto tra letteratura e mondo del lavoro nel Bel Paese e negli States.
Dott. Severgnini, qual è la differenza tra la narrazione industriale in Italia e negli USA?
L’industria c’è in Italia e c’è in America. In entrambe le compagini abbiamo provato a raccontarla: l’hanno fatto gli scrittori, i poeti, i cantanti, i giornalisti. In Italia la narrazione industriale negli anno 60’ e 70’ è diventata un vero e proprio genere letterario. Su questo tema hanno scritto personaggi come Vittorini e Calvino, che insieme dirigevano la rivista Menabò, che verteva unicamente su questo argomento. Ottiero Ottieri, Vittorio Sereni, Volponi, hanno riflettuto sulla questione del lavoro, pubblicando saggi, romanzi, riviste e poesie, dandogli dignità e spessore. In America invece tutto questo non esiste. Ci sono stati cantanti che sono stati veri e propri cantori del mondo industriale, uno su tutti Bruce Springsteen. Bruce ha raccontato i colletti blu, come li chiamano in America. Negli USA manca tutta la parte teorica e analitica sulla narrazione industriale, ma comunque, anche l’ sono dei grandi!
Di Alberto Ferrari
Alberto Ferrari
