[NEWS E STAMPA]
22.11.2025
UMANESIMO INDUSTRIALE: QUANDO LA FABBRICA DIVENTA COMUNITA’
Adriano Olivetti e la sua visione tornano al centro del dibattito al Festival della Narrazione Industriale di Parma: un invito a ripensare il rapporto tra cultura, impresa e persona.
Umanesimo e industria, accostati uno di fianco all’altro, possono sembrare quasi un ossimoro. Nell’immaginario collettivo, le humanae litterae, l’uomo vitruviano e il sonetto di Petrarca non potranno mai fondersi sinergicamente con la produzione, il rumore del tornio e le scintille di una saldatrice. Non è così. Come possono convivere l’esaltazione quasi estatica dell’uomo in quanto uomo e la tecnologia sostitutiva dell’autonomia umana, che oggi, con un vero e proprio ossimoro, chiamiamo intelligenza artificiale? Può apparire forzato in superficie, ma possono.
Adriano Olivetti fu maestro e visionario nel dare coerenza e senso all’apparente contraddizione in essere tra cultura umanistica e mondo industriale. La fabbrica di Olivetti, infatti, tentò di costruire un ponte tra il mondo intellettuale e la classe operaia. L’azienda era composta da scrittori, artisti, disegnatori, poeti e intellettuali come ad esempio Franco Fortini, Paolo Volponi e Ottiero Ottieri. Da quale necessità, da quale illuminazione nacque l’idea che un operaio non doveva solo produrre, essere salariato, per poi tornare l’indomani a svolgere la stessa mansione del giorno precedente, ma poteva avere accesso a biblioteche, a turni di lavoro più corti, a dibattiti interni all’azienda? Perché, soprattutto oggi, noi che viviamo una realtà post modernista, dominata e condizionata non più dalla Libertà che guida il popolo, ma dal dollaro che lo ammalia e lo soggioga, dovremmo ripensare all’umanesimo industriale? La risposta è apparentemente semplice, per stare meglio.
Non solo, anche per comprendere, interpretare, identificarci e sentirci parte di qualcosa, di una comunità. Comunità fu una parola molto cara ad Olivetti, che la intendeva come principale matrice ideologica del suo tentativo di innovazione. Umanesimo industriale significa anche questo, fabbriche a servizio della società civile, intendendo la comunità industriale come un'istituzione capace di vivere nella società e di collaborare con essa. Progettare una biblioteca dentro l’azienda, l’asilo nido nell’azienda, una sala agorà adibita a foro, sono atti pratici di umanesimo industriale.
Questo concetto non è definibile in maniera scientifica, non è un postulato. E’ un sistema, con tante condizioni di esistenza e un dominio sempre variabile, ma verificabile in un insieme u, universale e umano. Il tentativo di rimettere l’uomo al centro, di attribuirgli nuovamente valore e di fornirgli stimoli intellettuali non è contro l’industria, ma a suo favore. Lo è ancor di più nella contemporaneità, dove stimoli costanti e dilemmi indistricabili, come quello sull’intelligenza artificiale e il suo utilizzo, o lo sfruttamento dei riders, ci vengono sottoposti quotidianamente dalla realtà, che noi decidiamo spesse volte di ignorare. Portare una dimensione umana in azienda è una necessità, anche storica. I giovani stessi chiedono un lavoro che sia compatibile con la loro vita privata, coi loro interessi e con un bisogno intrinseco di socialità, che giace quiescente in ognuno di noi.
La visione di Olivetti e il tema dell’umanesimo industriale, con tutta la sua cifra di complessità, sono il fulcro della seconda edizione del Festival della Narrazione Industriale, che quest’anno si propone questa intrigante sfida. La cultura umanistica e il mondo dell’industria possono influenzarsi reciprocamente ed elevarsi a potenza? Possiamo pensare il concetto di umanesimo industriale come qualcosa di realizzabile, squarciando il velo dell’utopia? Venitelo a scoprire insieme a noi, dal 24 al 29 novembre, al Festival della Narrazione Industriale a Parma.
Alberto Ferrari
Alberto Ferrari
